mercoledì 3 dicembre 2014

La salute sta nell’equilbrio


risponde l’osteopata Patrizia Fazio:
così si cura l’ernia del disco


Diffusissima è tra i motivi più frequenti di consulto l’ernia del disco si manifesta generalmente in una età compresa tra i 40 ed i 55 anni. Ma le cattive abitudini del vivere contemporaneo portano sempre più spesso ad una sofferenza anche in soggetti molto più giovani. Ne parliamo con l’osteopata Patrizia Fazio:
«L’ernia del disco consiste nella rottura dell’anulus fibroso che contiene il disco presente tra un corpo vertebrale e quello sottostante. La colonna vertebrale dà protezione al midollo, erniandosi il disco va a comprimere il midollo e quindi le radici nervose che da esso si dipartono per giungere agli arti inferiori per la colonna lombare e gli arti superiori per la colonna cervicale».
Quali sono le sedi più frequenti?
«La zona lombare bassa e la zona cervicali bassa, questo accade perchè a questi livelli le vertebre hanno un grado maggiore di libertà, rispetto ad altri livelli vertebrali».
Come interviene l’osteopatia?
«In sostanza con il lavoro osteopatico, il corpo ritrova un nuovo equilibrio da ogni punto di vista, vertebrale, viscerale, organico e di conseguenza anche posturale. E’ chiaro infatti che se si è giunti alla sofferenza da ernia, la nostra struttura non lavorava in buona armonia, all’osteopata la funzione di rimuovere le cause di questo cattivo funzionamento».
Quali possono essere le cause?
«Le cause possono essere molteplici e risiedere anche in distretti lontani dalla sede dell’ernia, per fare un piccolo esempio, una caviglia dolente può determinare un cattivo appoggio e creare uno squilibrio, o anche un cattivo funzionamento dell’ articolazione temporo mandibolare».
E’ vero che con l’avanzare dell’ età il dolore diminuisce?
«Poichè i dischi vanno incontro a sempre maggiore disidratazione, dunque diminuiscono di volume, dopo i 55-60 anni, la sofferenza da ernia discale è deatinata ad attutirsi».

sabato 29 novembre 2014

Che cos' è l' osteopatia?




A colloquio con la dott. ssa Patrizia Fazio


L’osteopatia è una disciplina "globale" che cura il paziente nella sua unicità. Spesso, a torto, considerata una medicina "alternativa", in realtà è complementare alle altre discipline.
Ne parliamo con la dott.ssa Patrizia Fazio di Napoli. Osteopata Professionista di scuola francese con studi presso il CERDO di Roma, la dott.ssa Fazio è iscritta al ROI (Registro Osteopati d'Italia), e gestisce un blog ed un forum interattivo, rispondendo a tutti i quesiti che le vengono posti in merito all'osteopatia. «Dopo una lunga diffidenza» - ci dice la dott.ssa Fazio - «ora la medicina ufficiale più all'avanguardia si sta aprendo all'osteopatia, che considera l'uomo un'unità biologica. Tutte le parti dell'organismo - scheletro, muscolatura, nervi, organi, visceri, apparato sanguigno, psiche - per essere in perfetto equilibrio, devono lavorare insieme: la "salute" è proprio questo». «Per ridare benessere al paziente" - continua la dott.ssa Fazio - «si interviene con la regolazione dei complessi sistemi che risiedono, per la gran parte, nella colonna vertebrale, dove sono presenti i centri nervosi regolatori».
L'importanza del benessere della colonna vertebrale è evidente, non esistono "movimenti sbagliati", a meno che non si subisca un trauma. È quindi molto importante conservare una buona meccanica vertebrale.
Si parla molto oggi di "postura sbagliata", in realtà l'organismo crea degli accomodamenti per poter andare avanti, se si ha mal di schiena si assume una postura antalgica, l'osteopata può correggere le cause del problema, che possono essere molteplici: viscerali, muscolo-tendinee, organiche, scheletriche.
L'osteopata consulta eventuali esami diagnostici e clinici del paziente e poi si procede con la visita osteopatica. Individuate le cause del problema, l'osteopata le corregge utilizzando esclusivamente "tecniche manuali". Non è previsto né l'uso di ausili né l'uso di farmaci. Il compito di noi osteopati è quello di fornire degli input all'organismo per permettergli di ritrovare l'equilibrio, quindi la salute. Si può ricorrere all'osteopata per lombalgie, lombosciatalgie, mal di testa, esiti di distorsioni, vertigini, dolori mestruali, cervicalgie e per altri diversi problemi, come per esempio quelli dell'articolazione temporo-mandibolare. Per quanto riguarda il mal di testa, escludendo le cause conclamate di questo disturbo, come per esempio le affezioni tumorali o importanti problemi di flusso artero-venoso, molto importante è l'aiuto della medicina osteopatica che considera il sintomo sempre una manifestazione di sofferenza dell'organismowww.perilbenessere.info. Il mal di testa può essere causato da disfunzioni, cioè cattivi funzionamenti di strutture vicine, ma anche lontane dal cranio. Le cause sono da ricercarsi per ogni specifico caso e possono essere davvero numerose.
Potrebbero essere traumi da attività sportiva, tensioni emotive, disturbi interni, dell'apparato gastrointestinale o problemi legati all'articolazione temporo-mandibolare.
Qualunque tipo di limitazione meccanica nell' organismo infatti influenza sistemi e organi. L'osteopata opera con diverse forme di manipolazione per ridare libertà alle zone "in disfunzione".
Generalmente, quando la struttura viene "normalizzata", la funzionalità dell'organismo migliora. Nel caso di un problema occlusale, il cattivo funzionamento della mandibola può ripercuotersi per esempio sulla zona cervicale e impedire una buona circolazione sanguigna all'interno del cranio, oltre a generare una contrattura dei muscoli della zona che può causare la cefalea. La terapia osteopatica si può effettuare con un piccolo ciclo di tre sedute, intervallate di dieci- quindici giorni. Anche l'ernia del disco viene curata in maniera efficace con l'osteopatia. Essa si manifesta generalmente in un' età compresa tra i 40 ed i 55 anni. Ma le cattive abitudini del vivere contemporaneo portano sempre più spesso ad una sofferenza anche in soggetti molto più giovani. L'ernia del disco consiste nella rottura dell'anulus fibroso che contiene il disco presente tra un corpo vertebrale e quello sottostante. La colonna vertebrale dà protezione al midollo, erniandosi il disco va a comprimere il midollo e quindi le radici nervose che da esso si dipartono per giungere agli arti inferiori per la colonna lombare e gli arti superiori per la colonna cervicale. Le sedi più frequenti dove si manifesta sono la zona lombare bassa e la zona cervicale bassa, poiché a questi livelli le vertebre hanno un grado maggiore di libertà, rispetto ad altri livelli vertebrali. Con il lavoro osteopatico, il corpo ritrova un nuovo equilibrio da ogni punto di vista, vertebrale, viscerale, organico e di conseguenza anche posturale. È chiaro infatti che se si è giunti alla sofferenza da ernia, la struttura corporea non lavorava in buona armonia: all'osteopata la funzione di rimuovere le cause di questo cattivo funzionamento. Cause che possono essere molteplici e risiedere anche in distretti lontani dalla sede dell'ernia: per fare un piccolo esempio, una caviglia dolente può determinare un cattivo appoggio e creare uno squilibrio, o anche un cattivo funzionamento dell'articolazione temporo mandibolare. Vero è che con l'avanzare dell'età il dolore diminuisce poiché i dischi vanno incontro a sempre maggiore disidratazione, dunque diminuiscono di volume. Dopo i 55-60 anni, la sofferenza da ernia discale é destinata ad attutirsi". «Consiglio vivamente a chi desidera ritrovare l'equilibrio perso senza uso di farmaci e ausili» - conclude la dott.ssa Fazio - «di rivolgersi ad un osteopata professionista, che abbia perlomeno maturato sei anni di formazione, come peraltro previsto dai criteri europei. Per chi ha bisogno di un consulto, può accedere al mio forum sul sito web www.osteopatafazio.com »

lunedì 17 novembre 2014

Cosa fanno le emozioni negative al nostro organismo?


Gli organi assorbono l'emotività negativa, è la cosiddetta somatizzazione. Con il tempo queste emozioni possono fare male ad organi bersaglio come stomaco e intestino



La relazione tra mente e corpo, emozioni negative e organi


La filosofia alla base della medicina osteopatica è il concetto di unità biologica dell’uomo. Tutti i sistemi, nel nostro corpo, lavorano in sinergia sotto i comandi del cervello che permea tutti gli organi, è come se ne fosse il “comandante”. Ma il cervello è anche sede della nostra mente, quindi la relazione corpo-mente è presto dimostrata! 
In termini pratici questo cosa vuol dire? Che ogni emozione negativa, ogni pensiero negativo, ogni trauma emozionale, dal cervello viene inviata più giù agli organi. Non mi riferisco alle emozioni positive, perché quelle non lasciano tracce, fanno solo funzionare tutto benissimo, sia la mente sia il corpo. Mi riferisco, appunto, a quelle negative.
Descriverò ora i principali organi.
  • L’intestino, chiamato anche il “secondo cervello”, insieme al fegato è un “magazziniere” di emozioni. E’ tutto racchiuso lì dentro
  • Il fegato è sensibile a tutto ciò che tocca l’io profondo, la nostra essenza
  • Milza e pancreas reagiscono ad emozioni forti e improvvise, che infatti possono portare anche ad una pancreatite
  • Il seno, per la donna, è legato all’affettività, a carenze familiari
  • Lo stomaco contiene l’eco della vita sociale, qui ci sono le tensioni riguardanti il rapporto con gli altri

Gli organi assorbono la nostra emotività negativa. E’ la cosiddetta “somatizzazione”: il cervello invia agli organi queste emozioni negative che non può sopportare da solo perché ha anche altro da fare! Ci possono essere emozioni fortissime, come la perdita di una persona cara, un licenziamento, un incidente, oltre a tante altre meno “intense”, meno “gravi”, ogni giorno, che però, se ripetute, fanno male all’organismo. E’ il caso del lavoratore costretto a sopportare il suo capo che gli urla contro: prende l’emozione negativa, la trasmette allo stomaco e gli viene il bruciore di stomaco; con il tempo potrebbe venirgli anche un’ulcera, perché vorrebbe farlo a fette ma non può.
Con il tempo e lo stress ripetuto si può arrivare anche a degenerazioni tumorali degli organi.
E’ importante sapere che ognuno di noi reagisce in modo diverso allo stress, questo è legato alla nostra tipologia che fa si che ognuno di noi abbia un “organo bersaglio” diverso da un altro, di questo parlerò la prossima volta.
Non vi arrabbiate!

giovedì 13 novembre 2014

Il mal di testa: come interviene l'osteopata



L'osteopata considera il mal di testa come una manifestazione di una disfunzione specifica e diversa da paziente a paziente
In caso di mal di testa l'osteopata ricerca la disfunzione e poi opera per ridare libertà alle strutture sofferenti
Frequentissimo, cronico, violento, mattutino, notturno, sicuramente molto diffuso: ecco il mal di testa. Escluse cause date da gravi patologie conclamate, spesso il mal di testa non viene considerato come una manifestazione, bensì come un sintomo.
L’osteopata considera invece questo malessere, così ingombrante, come una manifestazione di disfunzioni, cioè cattivi funzionamenti di strutture o apparati dell’organismo.
Una delle cause più comuni è legata all’apparato digerente. Quando la flora batterica intestinale è alterata, ci sono difficoltà nell’assimilazione, si sviluppano intolleranze a molte sostanze ed un sovraccarico conseguente di stomaco e fegato che, attraverso il circolo sanguigno, porta eccessive tossine più su, fino al cranio.
Altra causa frequente è la malocclusione, cioè una sofferente chiusura dell’articolazione temporo-mandibolare che può influenzare le vertebre cervicali che sono in relazione con essa.
Altra causa potrebbe essere un colpo di frusta, anche lontano nel tempo: chiamato “whiplash” dall’osteopata, il trauma determina un incastro dell’occipite tra i due temporali (parliamo di ossa del cranio).
L’osteopata, attraverso l’anamnesi e la visita, ricerca la disfunzione del paziente, avendo presente che ogni caso è specifico e poi opera con diverse forme di manipolazione per ridare libertà alle strutture sofferenti. Quando la struttura viene “liberata” generalmente la situazione migliora, il circolo sanguigno funziona meglio anche a livello cervicale e di conseguenza anche quello del cranio che passa di lì.
In ogni caso il mio consiglio è quello di preferire qualche seduta dall’osteopata e provare a star meglio, anziché imbottirsi troppo spesso di farmaci che agiscono solo sul sintomo e non sulla causa.
Se si accusa spesso mal di testa è consigliabile arricchire la propria alimentazione con Omega-3 che sono contenuti in frutta, verdura, olio di oliva, mandorle, noci.

lunedì 10 novembre 2014

Psicologia e osteopatia, insieme, per un effetto di benessere strabiliante


Quando il disagio emozionale porta alla patologia fisica, si può intervenire con la psico-osteopatia. Scopriamo di cosa si tratta



Se è vero che corpo e mente sono un'unica entità, ed è evidente a tutti l'impossibilità di separarli, è vero anche che molti disturbi fisici possono nascere da problematiche di stress, tensioni, emozioni negative e traumi. 
Lavorando sul corpo si possono dunque liberare quelle emozioni negative che attanagliano il paziente e possono tradursi, ad esempio, in dolore cervicale, oppure in reflusso gastro esofageo, o in fibromialgia. 
Con l'intervento congiunto della psicologia e della osteopatia, l'effetto di benessere può essere strabiliante. E' questa la base su cui si fonda la psico-osteopatia, una nuova metodica integrata nata dall'unione, come dice il nome stesso, tra la psicologia e l'osteopatia. Si tratta di un protocollo per curare molti disturbi che sono fisici ma che spesso hanno un'origine emozionale, e che quindi possono derivare da stress, ansia, conflitti e tensioni interiori. 
La psico-osteopatia è rivolta a chi soffre di disturbi come fibromialgia, dolore cervicale, reflusso gastroesofageo, cefalea o emicrania, dolori lombari e dorsali, bruxismo, stanchezza cronica, insonnia, stress e tanti altri. Per ulteriori informazioni su questo tipo di trattamento si può consultare il sito dedicato alla psico-osteopatia.

mercoledì 22 ottobre 2014

Problematiche scolastiche



Le problematiche scolastiche si possono distinguere in: problematiche relazionali dell’allievo con il gruppo dei pari; problematiche comportamentali in cui il minore non rispetta le regole del contesto scolastico; problematiche relative agli apprendimenti.
Un fattore non esclude gli altro, poiché questi aspetti sono fortemente correlati. 
Nel centro di riabilitazione dove esercito la professione di psicologa psicoterapeuta, svolgo colloqui con genitori letteralmente “avviliti” del problema scolastico dei propri figli i quali frequentemente, usufruiscono di ore di sostegno. Tali ore, in determinati casi, non servono a favorire la crescita del minore. Anzi, in alcune situazioni, l’allievo si ribella al sostegno poiché i compagni lo emarginano, considerandolo diverso da loro. La conseguenza è la chiusura agli apprendimenti e al rapporto con i compagni.
Cosa deve fare un genitore?
Deve comprendere le difficoltà del ragazzo e non rispondere con la rabbia.
Se nostro figlio non cammina bene perché ha un problema alla gamba ci arrabbiamo? Allo stesso modo, non ci dobbiamo arrabbiare se il problema è a scuola.
L’accento che il genitore deve porre è sulle risorse del proprio figlio, sulle cose che sa fare e sulle cose belle della sua persona. L’accento non va posto sul limite.
Attenzione: valorizzare le risorse non significa ingannare il ragazzo sulle sue capacità come ad esempio trasmettergli che è molto intelligente se, al contrario, ha delle difficoltà cognitive. Non significa neanche non spingerlo ad apprendere e a migliorare.
L’importante che sia felice e sereno con se stesso, con i propri limiti e risorse.
C’è chi può diventare artista, ingegnere e dottore, filosofo e chi no. Non fa niente.
Se un genitore non riesce ad accettare ciò, si deve chiedere: Perché?

Dott.ssa Flavia Morfini Psicologa- Psicoterapeuta www.psiconapoli.com

Il bambino con deficit dell’attenzione ed iperattività: indicazioni psicoeducative



La terapia per l’ADHD deve necessariamente basarsi su un approccio integrato che coinvolge terapeuta, genitori, insegnanti. Essi devono collaborare ed interagire nella messa a punto del programma terapeutico che deve essere specifico per ogni bambino e stabilito sulla base della sintomatologia e delle risorse identificabili.
Genitori ed insegnanti dovrebbero, innanzitutto, utilizzare le seguenti modalità:
  • Potenziare il numero di interazioni positive con il bambino evitando di evidenziare i comportamenti lievemente negativi
  • Sviluppare una maggiore collaborazione del bambino attraverso comandi semplici e precisi
  • Utilizzare rinforzi positivi (premi) in risposta a comportamenti positivi
  • Assumere provvedimenti coerenti e costanti per i comportamenti inadeguati 


Costo psicoterapia: un differente tariffario



Nel momento di crisi che stiamo attraversando non tutti hanno sufficienti soldi per mangiare, per vestirsi e per curarsi. Mi succede di essere contattata da persone che mi chiedono una consulenza psicologica e, che poi disdicono l’appuntamento per questioni economiche. Ho conosciuto persone realmente bisognose di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico (perché, ad esempio soffrivano di ansia, di depressione, avevano bisogno di parlare e di essere ascoltate, a volte, semplicemente rassicurate) ed erano impossibilitate a farlo perché a stento riuscivano ad arrivare alla fine del mese.
Per me, e credo per tutti gli psicoterapeuti, è frustrante e doloroso assistere a tutto questo, dal momento che il Servizio Sanitario pubblico, attualmente, non può soddisfare l’eccessiva domanda di psicoterapia, consulenza e sostegno psicologico presente sul territorio. 
Per questa ragione, sostengo che sia utile e corretto che gli psicologi, psicoterapeuti, considerino la possibilità di utilizzare per le fasce più deboli un differente tariffario.

Genitori troppo permissivi: l’amore nell’educazione dei figli



Vorrei condividere una riflessione sulla differenza di significato tra il termine amore e amorevolezza.
Amare un figlio significa prendersi cura di lui nella sua totalità, nutrirlo e proteggerlo, educarlo ed agire per il suo bene presente e futuro.
Essere amorevoli significa coccolarlo, essere teneri con lui ed esprimere con la dolcezza il proprio amore. Ciò è fondamentale: un bimbo ha bisogno di essere nutrito di cibo e di coccole nella stessa misura.
Amare un figlio significa, tuttavia, non solo essere amorevoli. La troppa amorevolezza inficia la capacità di agire per il suo bene.
Nel momento in cui un genitore non riesce ad essere obbedito da suo figlio, lasciandosi manipolare dal bambino, si deve chiedere cosa gli succede e porsi alcune domande:

1. perché dovrei dire no?
2. Qual è l’importanza di questo No, di questa regola?
3. Che importanza riveste l’educazione genitoriale in quello che è e sarà il bambino?
4. Quanto mi spaventa il dolore e la frustrazione di mio figlio?
5. Cosa sento rispetto alla rabbia che mio figlio prova verso di me?

  
Essere permissivi è uno stile educativo che, per molti bambini risulta utile e funzionale; al contrario, nel cedere ai capricci del proprio bambino si è troppo permissivi: il genitore manca di equilibrio educazionale. Nel cedere ai capricci si agisce una scelta. Questa scelta si poggia sull’amore? Oppure il genitore con il suo comportamento troppo permissivo sopperisce ad un proprio bisogno? (trascurando il bisogno di crescere del bambino?).


I meccanismi di difesa per la psicoterapia della Gestalt




I meccanismo di difesa sono le modalità che abbiamo ognuno di noi di proteggerci dalle esperienze e dalle relazioni con gli altri. Essere consapevoli dei propri meccanismi di difesa ci rende più responsabili di noi stessi, delle nostre azioni.
Soltanto se si è consapevoli si è veramente liberi di scegliere.
Nella psicoterapia della Gestalt i meccanismi di difesa sono chiamati modalità di resistenza al contatto. Esse sono:
la confluenza,
la proiezione,
la retroflessione,
l’introiezione,
la deflessione.
Nella confluenza si vive un rapporto simbiotico con l’altro e non vi è reale percezione del confine Sé -altro da Sé: è una sorta di “simbiosi” dell’individuo con la comunità, madre, compagna. Segna l’appartenenza, la comunione. La confluenza si incontra, per esempio, in molte coppie, in cui ciascuno dei due partner non si autorizza alla minima attività autonoma, vissuta come tradimento.
Nella proiezione attribuiamo all’altro aspetti, bisogni, emozioni, pensieri che invece appartengono a noi. E’ la tendenza ad attribuire all’ambiente la responsabilità di qualcosa che trae origine da sé, ad esempio il paranoico diffidente rimprovera a tutti coloro che lo circondano l’aggressività che lui stesso proietta sugli altri. Esiste, comunque, una proiezione “sana” che permette la comprensione degli altri.
Nella retroflessione si rinuncia a qualsiasi tentativo di influenzare il nostro ambiente, diventando entità autosufficiente: io invado il mio stesso mondo interno (io mi amo troppo= retroflessione). Si rivolge a se stessi l’energia mobilitata, nel fare a sé ciò che vorremmo gli altri ci facessero.
Nell’introiezione l’individuo si sente soddisfatto di sé solo se fa coincidere i propri bisogni con quelli dell’altro o dell’ambiente. Se gli altri agiscono in un modo contrastante dal suo, preferisce adeguarsi agli altri per non contrapporsi.
Infine la deflessione è un modo di non viversi pienamente un’esperienza, come ad esempio una relazione amorosa, “scappando” dalla relazione, come ad esempio, non “rimanendo” sui discorsi, non affrontando i problemi.
Tale modalità sono patologiche soltanto nel momento in cui diventano croniche e abituali.

Dott.ssa Flavia Morfini   Psicologa- Psicoterapeuta   www.psiconapoli.com

L’intelligenza e il disturbo dell’apprendimento



E’doloroso comunicare ad un genitore che il proprio figlio ha un deficit cognitivo poiché ciò significa affermare che il ragazzo non è sufficientemente intelligente. Per questa ragione, alcune volte, si utilizza in maniera erronea l’espressione, più rassicurante, di disturbo dell’apprendimento. 
Il disturbo dell’apprendimento indica problematiche nell’ambito scolastico che si manifestano, in particolar modo, nella difficoltà a scrivere, leggere, fare i calcoli.
Il deficit cognitivo, al contrario, si riferisce ad una difficoltà più ampia e invalidante di capire ciò che ci circonda e di comportarsi di conseguenza.
In questo modo, non si aiuta i genitori a comprendere qual è il reale problema del proprio figlio.
Mi accade frequentemente di incontrare genitori di figli con deficit cognitivi che affermano:” Mio figlio va male a scuola, non gli piace proprio, non è portato…però è furbissimo ed è molto intelligente”. In questo modo, la scuola diventa fonte di frustrazione sia per il figlio che per il genitore. Si alimenta nel ragazzino l’odio per la scuola e si instaura una distorta percezione di quelle che, al momento, sono realmente le capacità dell’allievo. Quest’ultimo non è motivato ad apprendere e a migliorarsi. 
La non corretta analisi delle capacità del minore può portare il genitore e ad arrabbiarsi, a punire suo figlio se non riesce, ad esempio, ad imparare la storia. Così si sviluppa un circolo vizioso: il bambino non imparerà mai la storia perché la detesterà.
Il figlio non si sente visto, compreso.
Un genitore ha il dovere di guidare suo figlio alla crescita e alla realizzazione di sé partendo da quello che è il figlio, con i suoi limiti, difficoltà, potenzialità. Le aspettative che un genitore nutre su suo figlio non devono offuscare la comprensione del bambino e delle sue difficoltà.
Un figlio non viene al mondo per realizzare i sogni ed aspettative del genitore.


venerdì 17 ottobre 2014

La depressione: alcune considerazioni



Se cerchiamo dal manuale delle patologie psichiatriche il significato del termine depressione, ci imbattiamo in una definizione molto ampia e strutturata che, a mio avviso, non rende realmente l’idea del dolore di chi soffre di depressione. 
E’ un termine molto abusato al punto da essere utilizzato in maniera distorta e confusiva. Di madri che uccidono figli, di persone che in preda alla rabbia compiono delitti, spesso si dice: soffriva di depressione. Assurdo. Viviamo in un contesto che non è capace di cogliere i segnali del dolore psichico e, non comprendendolo etichetta come depressione ciò che non riesce a spiegare.
Chi commette delitti, chi uccide, non è semplicemente depresso. L’aspetto depressivo, frequentemente presente, è uno degli elementi che caratterizza il quadro mentale di queste persone.
Spesso, nel mio lavoro di psicoterapeuta ho incontrato persone colpite da depressione che hanno rifiutato di prendere consapevolezza di questo tipo di problematica. Forse, per loro ammettere ciò significava essere brutte persone, affette da una sorta di crudele follia.
Per questo motivo, voglio porre l’accento sul significato della depressione cercando di descrivere lo stato d’animo e la sofferenza che questa comporta.
La depressione è una spirale verso il basso, come delle sabbie mobili che inghiottiscono e, per lo stupore e la paura non si riesce a gridare aiuto. Questo processo d’inghiottimento non ha fine e nulla può cambiare. Ci si sente traditi dalla vita e difettosi, abbandonati ed arrabbiati, esclusi. La sensazione è che si sta morendo e che gli altri si siano dimenticati, dal momento che non si è mai stati visti. E’allora ci si sente umiliati, si prova vergogna per se stessi, ci si sente indegni e dal confronto con gli altri si prova invidia e dolore.
La depressione è un vuoto da riempire, ma è un vuoto che non ha confini poiché, in chi in vive uno stato di depressione esso pervade tutto l’essere della persona. Il vuoto è mancanza….la mancanza di significato della vita, di slancio vitale, di desiderio.
La depressione inizia con l’incapacità di desiderare.


giovedì 16 ottobre 2014

Quanto deve costare una seduta da uno psicoterapeuta?




Dipende, non è veramente importante quanto. Può costare anche una cifra veramente minima, simbolica, ma deve costare tanto da rappresentare uno sforzo per la persona che sceglie di intraprendere un percorso di psicoterapia.
Andare da uno psicoterapeuta non è come andare dal dentista in cui è sufficiente sottoporsi ad una visita. Nella psicoterapia non ci si sottopone, poiché non è una medicina che viene somministrata: il paziente deve lavorare, mettersi in gioco. In caso contrario, la terapia non funziona. Nel momento in cui una persona paga, focalizza il suo investimento sia in termini economici che emotivi. E’ più probabile che sia motivata nel lavoro psicoterapico perché pagare rappresenta uno sforzo ed aumenta il senso di responsabilità e di consapevolezza verso questo tipo di scelta.
 Un aspetto da considerare è che nella cultura nella quale viviamo si tende a non dare sufficiente valore a ciò che è gratuito, ad abusarne.
Faccio un esempio: ad un buffett, in cui il cibo è a libera disposizione di tutti gli invitati, le persone riempiono i loro piatti in maniera smisurata, rischiando di sprecare il cibo (pensano: “Tanto non si paga”).


mercoledì 15 ottobre 2014

La funzione educativa dei genitori: una domanda



Lavorando con bambini aventi disturbi del comportamento, iperattività e difficoltà di attenzione, mi rendo sempre più conto di come nel contesto nel quale viviamo, la funzione educativa genitoriale è altamente sottovalutata dai genitori stessi. Frequentemente, si conduce il bambino in terapia come un giocattolo da aggiustare, come qualcosa di difettoso che va assolutamente riparato. Si da la colpa al carattere del bambino. Non sempre un genitore mette realmente in discussione il proprio ruolo: sente più responsabilità per ciò che suo figlio mangia, per come si veste che per come è. 
Agisce come se l’educazione fosse un optional. Educare un figlio richiede disponibilità emotiva, fatica e tempo. Spesso, genitori di bambini, non riuscendo a mettere in pratica alcune regole educative basate sul buon senso e sulla coerenza, affermano: “Dottoressa, io non posso fare come lei mi indica. Io ho da fare, devo fare i servizi, andare a lavorare.
Allora, mi domando: i genitori che investimento fanno sulla loro funzione educativa, che importanza danno all’educazione? Anche se hanno 10000 incombenze, trovano il tempo per nutrire e vestire il figlio?  Perché non si trova il tempo anche per educarlo?

Dott.ssa Flavia Morfini   Psicologa- Psicoterapeuta   www.psiconapoli.com

martedì 14 ottobre 2014

Il Disturbo da deficit attentivo con iperattività (ADHD)



Il Disturbo da deficit attentivo con iperattività (ADHD) si caratterizza per aspetti fondamentali quali: l’inattenzione, l’impulsività e l’iperattività. 
L’inattenzione o facile distraibilità comporta l’incapacità di portare a termine le azioni intraprese, i bambini perdono oggetti e dimenticano attività importanti. L’impulsività si manifesta come difficoltà a modulare e a controllare le proprie emozioni; tali caratteristiche sono frequentemente associate ad un comportamento iperattivo: questi bambini non riescono, frequentemente, neanche a stare seduti, hanno difficoltà ad aspettare regole e tempi. 
Tutti i bambini possono presentare, in determinate situazioni, i comportamenti sopra descritti; non significa necessariamente che hanno un deficit dell’attenzione e sono iperattivi. 
Se questi comportamenti costituiscono la caratteristica costante del bambino e sono presenti in gran parte delle situazioni ed in tutti i contesti, in quel caso è possibile ipotizzare un “Disturbo da deficit attentivo con iperattività”. 
I genitori devono essere molto attenti nell’utilizzo di questa espressione, poiché nel momento in cui connotiamo un bambino come iperattivo gli diamo un’identità che lui cercherà di confermare.
Nella gestione del “deficit attentivo con iperattività” il ruolo educativo genitoriale ha una funzione fondamentale.
Non è affatto sufficiente condurre il bambino in psicoterapia come “un giocattolo rotto” affidando allo psicologo il compito di “aggiustarlo”. E’ questo, purtroppo, l’atteggiamento di alcuni genitori. 
E’ fondamentale che il genitore sviluppi modalità e strategie utili per aiutare un figlio che soffre di ADHD.

Dott.ssa Flavia Morfini psicologa- psicoterapeuta      www.psiconapoli.com

lunedì 13 ottobre 2014

Bambini con deficit dell’attenzione ed iperattività (ADHD): premi e punizioni



Nei bambini che soffrono di ADHD è possibile ridurre gli atteggiamenti inadeguati ed incrementare i comportamenti positivi pianificando delle specifiche conseguenze ai comportamenti del bambino (premi e punizioni detti rispettivamente rinforzi positivi e negativi).
I comportamenti che producono come diretta conseguenza un premio devono riguardare aspetti come il controllo dei propri impulsi, lo svolgimento delle attività assegnate. Al contrario, i comportamenti che determinano la perdita del rinforzo e l’utilizzo eventuale di punizione devono generalmente riguardare le manifestazioni di oppositività e distruttività.
I rinforzi possono rapidamente perdere la loro funzione, per questa ragione è importante che siano accuratamente selezionati e gestiti.
E’ fondamentale utilizzare maggiormente i premi rispetto alle punizioni ed, inoltre, bisogna ricordare che la rapidità del premio o della punizione è molto più importante della sua entità.
Ciò perché nei minori, in generale, e nei bambini iperattivi ancora di più, il tempo è molto più rapido che per gli adulti: “Domani” è per un bambino talmente lontano da far perdere interesse.


Che cos’è la consapevolezza per la terapia della Gestalt



Possiamo definire la consapevolezza, in generale, come la reale comprensione di ciò che ci accade, dei nostri pensieri, emozioni, azioni e responsabilità.
La terapia della Gestalt si occupa di osservare e verificare la consapevolezza del processo dei pensieri, sentimenti e azioni di un individuo, prestando maggiore attenzione al “cosa” e al “come”, piuttosto che al “perché” di un'azione o di un comportamento. La consapevolezza del come qualcosa avviene, infatti, conduce più facilmente alla possibilità di compiere un cambiamento genuino e responsabile. Comprendere il perché di un determinato comportamento,infatti, non è, sempre, sufficiente a modificarlo.
La consapevolezza è dunque un costante aggiornamento su se stessi, sulla percezione di Sé, e delle proprie risorse. Essa è alla base della responsabilità e della libertà di scelta di ogni individuo poiché, se aumenta la consapevolezza, aumenta il senso di responsabilità e la possibilità di scegliere con cognizione di causa.

Dott.ssa Flavia Morfini   Psicologa- Psicoterapeuta   www.psiconapoli.com