mercoledì 22 ottobre 2014

Problematiche scolastiche



Le problematiche scolastiche si possono distinguere in: problematiche relazionali dell’allievo con il gruppo dei pari; problematiche comportamentali in cui il minore non rispetta le regole del contesto scolastico; problematiche relative agli apprendimenti.
Un fattore non esclude gli altro, poiché questi aspetti sono fortemente correlati. 
Nel centro di riabilitazione dove esercito la professione di psicologa psicoterapeuta, svolgo colloqui con genitori letteralmente “avviliti” del problema scolastico dei propri figli i quali frequentemente, usufruiscono di ore di sostegno. Tali ore, in determinati casi, non servono a favorire la crescita del minore. Anzi, in alcune situazioni, l’allievo si ribella al sostegno poiché i compagni lo emarginano, considerandolo diverso da loro. La conseguenza è la chiusura agli apprendimenti e al rapporto con i compagni.
Cosa deve fare un genitore?
Deve comprendere le difficoltà del ragazzo e non rispondere con la rabbia.
Se nostro figlio non cammina bene perché ha un problema alla gamba ci arrabbiamo? Allo stesso modo, non ci dobbiamo arrabbiare se il problema è a scuola.
L’accento che il genitore deve porre è sulle risorse del proprio figlio, sulle cose che sa fare e sulle cose belle della sua persona. L’accento non va posto sul limite.
Attenzione: valorizzare le risorse non significa ingannare il ragazzo sulle sue capacità come ad esempio trasmettergli che è molto intelligente se, al contrario, ha delle difficoltà cognitive. Non significa neanche non spingerlo ad apprendere e a migliorare.
L’importante che sia felice e sereno con se stesso, con i propri limiti e risorse.
C’è chi può diventare artista, ingegnere e dottore, filosofo e chi no. Non fa niente.
Se un genitore non riesce ad accettare ciò, si deve chiedere: Perché?

Dott.ssa Flavia Morfini Psicologa- Psicoterapeuta www.psiconapoli.com

Il bambino con deficit dell’attenzione ed iperattività: indicazioni psicoeducative



La terapia per l’ADHD deve necessariamente basarsi su un approccio integrato che coinvolge terapeuta, genitori, insegnanti. Essi devono collaborare ed interagire nella messa a punto del programma terapeutico che deve essere specifico per ogni bambino e stabilito sulla base della sintomatologia e delle risorse identificabili.
Genitori ed insegnanti dovrebbero, innanzitutto, utilizzare le seguenti modalità:
  • Potenziare il numero di interazioni positive con il bambino evitando di evidenziare i comportamenti lievemente negativi
  • Sviluppare una maggiore collaborazione del bambino attraverso comandi semplici e precisi
  • Utilizzare rinforzi positivi (premi) in risposta a comportamenti positivi
  • Assumere provvedimenti coerenti e costanti per i comportamenti inadeguati 


Costo psicoterapia: un differente tariffario



Nel momento di crisi che stiamo attraversando non tutti hanno sufficienti soldi per mangiare, per vestirsi e per curarsi. Mi succede di essere contattata da persone che mi chiedono una consulenza psicologica e, che poi disdicono l’appuntamento per questioni economiche. Ho conosciuto persone realmente bisognose di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico (perché, ad esempio soffrivano di ansia, di depressione, avevano bisogno di parlare e di essere ascoltate, a volte, semplicemente rassicurate) ed erano impossibilitate a farlo perché a stento riuscivano ad arrivare alla fine del mese.
Per me, e credo per tutti gli psicoterapeuti, è frustrante e doloroso assistere a tutto questo, dal momento che il Servizio Sanitario pubblico, attualmente, non può soddisfare l’eccessiva domanda di psicoterapia, consulenza e sostegno psicologico presente sul territorio. 
Per questa ragione, sostengo che sia utile e corretto che gli psicologi, psicoterapeuti, considerino la possibilità di utilizzare per le fasce più deboli un differente tariffario.

Genitori troppo permissivi: l’amore nell’educazione dei figli



Vorrei condividere una riflessione sulla differenza di significato tra il termine amore e amorevolezza.
Amare un figlio significa prendersi cura di lui nella sua totalità, nutrirlo e proteggerlo, educarlo ed agire per il suo bene presente e futuro.
Essere amorevoli significa coccolarlo, essere teneri con lui ed esprimere con la dolcezza il proprio amore. Ciò è fondamentale: un bimbo ha bisogno di essere nutrito di cibo e di coccole nella stessa misura.
Amare un figlio significa, tuttavia, non solo essere amorevoli. La troppa amorevolezza inficia la capacità di agire per il suo bene.
Nel momento in cui un genitore non riesce ad essere obbedito da suo figlio, lasciandosi manipolare dal bambino, si deve chiedere cosa gli succede e porsi alcune domande:

1. perché dovrei dire no?
2. Qual è l’importanza di questo No, di questa regola?
3. Che importanza riveste l’educazione genitoriale in quello che è e sarà il bambino?
4. Quanto mi spaventa il dolore e la frustrazione di mio figlio?
5. Cosa sento rispetto alla rabbia che mio figlio prova verso di me?

  
Essere permissivi è uno stile educativo che, per molti bambini risulta utile e funzionale; al contrario, nel cedere ai capricci del proprio bambino si è troppo permissivi: il genitore manca di equilibrio educazionale. Nel cedere ai capricci si agisce una scelta. Questa scelta si poggia sull’amore? Oppure il genitore con il suo comportamento troppo permissivo sopperisce ad un proprio bisogno? (trascurando il bisogno di crescere del bambino?).


I meccanismi di difesa per la psicoterapia della Gestalt




I meccanismo di difesa sono le modalità che abbiamo ognuno di noi di proteggerci dalle esperienze e dalle relazioni con gli altri. Essere consapevoli dei propri meccanismi di difesa ci rende più responsabili di noi stessi, delle nostre azioni.
Soltanto se si è consapevoli si è veramente liberi di scegliere.
Nella psicoterapia della Gestalt i meccanismi di difesa sono chiamati modalità di resistenza al contatto. Esse sono:
la confluenza,
la proiezione,
la retroflessione,
l’introiezione,
la deflessione.
Nella confluenza si vive un rapporto simbiotico con l’altro e non vi è reale percezione del confine Sé -altro da Sé: è una sorta di “simbiosi” dell’individuo con la comunità, madre, compagna. Segna l’appartenenza, la comunione. La confluenza si incontra, per esempio, in molte coppie, in cui ciascuno dei due partner non si autorizza alla minima attività autonoma, vissuta come tradimento.
Nella proiezione attribuiamo all’altro aspetti, bisogni, emozioni, pensieri che invece appartengono a noi. E’ la tendenza ad attribuire all’ambiente la responsabilità di qualcosa che trae origine da sé, ad esempio il paranoico diffidente rimprovera a tutti coloro che lo circondano l’aggressività che lui stesso proietta sugli altri. Esiste, comunque, una proiezione “sana” che permette la comprensione degli altri.
Nella retroflessione si rinuncia a qualsiasi tentativo di influenzare il nostro ambiente, diventando entità autosufficiente: io invado il mio stesso mondo interno (io mi amo troppo= retroflessione). Si rivolge a se stessi l’energia mobilitata, nel fare a sé ciò che vorremmo gli altri ci facessero.
Nell’introiezione l’individuo si sente soddisfatto di sé solo se fa coincidere i propri bisogni con quelli dell’altro o dell’ambiente. Se gli altri agiscono in un modo contrastante dal suo, preferisce adeguarsi agli altri per non contrapporsi.
Infine la deflessione è un modo di non viversi pienamente un’esperienza, come ad esempio una relazione amorosa, “scappando” dalla relazione, come ad esempio, non “rimanendo” sui discorsi, non affrontando i problemi.
Tale modalità sono patologiche soltanto nel momento in cui diventano croniche e abituali.

Dott.ssa Flavia Morfini   Psicologa- Psicoterapeuta   www.psiconapoli.com

L’intelligenza e il disturbo dell’apprendimento



E’doloroso comunicare ad un genitore che il proprio figlio ha un deficit cognitivo poiché ciò significa affermare che il ragazzo non è sufficientemente intelligente. Per questa ragione, alcune volte, si utilizza in maniera erronea l’espressione, più rassicurante, di disturbo dell’apprendimento. 
Il disturbo dell’apprendimento indica problematiche nell’ambito scolastico che si manifestano, in particolar modo, nella difficoltà a scrivere, leggere, fare i calcoli.
Il deficit cognitivo, al contrario, si riferisce ad una difficoltà più ampia e invalidante di capire ciò che ci circonda e di comportarsi di conseguenza.
In questo modo, non si aiuta i genitori a comprendere qual è il reale problema del proprio figlio.
Mi accade frequentemente di incontrare genitori di figli con deficit cognitivi che affermano:” Mio figlio va male a scuola, non gli piace proprio, non è portato…però è furbissimo ed è molto intelligente”. In questo modo, la scuola diventa fonte di frustrazione sia per il figlio che per il genitore. Si alimenta nel ragazzino l’odio per la scuola e si instaura una distorta percezione di quelle che, al momento, sono realmente le capacità dell’allievo. Quest’ultimo non è motivato ad apprendere e a migliorarsi. 
La non corretta analisi delle capacità del minore può portare il genitore e ad arrabbiarsi, a punire suo figlio se non riesce, ad esempio, ad imparare la storia. Così si sviluppa un circolo vizioso: il bambino non imparerà mai la storia perché la detesterà.
Il figlio non si sente visto, compreso.
Un genitore ha il dovere di guidare suo figlio alla crescita e alla realizzazione di sé partendo da quello che è il figlio, con i suoi limiti, difficoltà, potenzialità. Le aspettative che un genitore nutre su suo figlio non devono offuscare la comprensione del bambino e delle sue difficoltà.
Un figlio non viene al mondo per realizzare i sogni ed aspettative del genitore.


venerdì 17 ottobre 2014

La depressione: alcune considerazioni



Se cerchiamo dal manuale delle patologie psichiatriche il significato del termine depressione, ci imbattiamo in una definizione molto ampia e strutturata che, a mio avviso, non rende realmente l’idea del dolore di chi soffre di depressione. 
E’ un termine molto abusato al punto da essere utilizzato in maniera distorta e confusiva. Di madri che uccidono figli, di persone che in preda alla rabbia compiono delitti, spesso si dice: soffriva di depressione. Assurdo. Viviamo in un contesto che non è capace di cogliere i segnali del dolore psichico e, non comprendendolo etichetta come depressione ciò che non riesce a spiegare.
Chi commette delitti, chi uccide, non è semplicemente depresso. L’aspetto depressivo, frequentemente presente, è uno degli elementi che caratterizza il quadro mentale di queste persone.
Spesso, nel mio lavoro di psicoterapeuta ho incontrato persone colpite da depressione che hanno rifiutato di prendere consapevolezza di questo tipo di problematica. Forse, per loro ammettere ciò significava essere brutte persone, affette da una sorta di crudele follia.
Per questo motivo, voglio porre l’accento sul significato della depressione cercando di descrivere lo stato d’animo e la sofferenza che questa comporta.
La depressione è una spirale verso il basso, come delle sabbie mobili che inghiottiscono e, per lo stupore e la paura non si riesce a gridare aiuto. Questo processo d’inghiottimento non ha fine e nulla può cambiare. Ci si sente traditi dalla vita e difettosi, abbandonati ed arrabbiati, esclusi. La sensazione è che si sta morendo e che gli altri si siano dimenticati, dal momento che non si è mai stati visti. E’allora ci si sente umiliati, si prova vergogna per se stessi, ci si sente indegni e dal confronto con gli altri si prova invidia e dolore.
La depressione è un vuoto da riempire, ma è un vuoto che non ha confini poiché, in chi in vive uno stato di depressione esso pervade tutto l’essere della persona. Il vuoto è mancanza….la mancanza di significato della vita, di slancio vitale, di desiderio.
La depressione inizia con l’incapacità di desiderare.


giovedì 16 ottobre 2014

Quanto deve costare una seduta da uno psicoterapeuta?




Dipende, non è veramente importante quanto. Può costare anche una cifra veramente minima, simbolica, ma deve costare tanto da rappresentare uno sforzo per la persona che sceglie di intraprendere un percorso di psicoterapia.
Andare da uno psicoterapeuta non è come andare dal dentista in cui è sufficiente sottoporsi ad una visita. Nella psicoterapia non ci si sottopone, poiché non è una medicina che viene somministrata: il paziente deve lavorare, mettersi in gioco. In caso contrario, la terapia non funziona. Nel momento in cui una persona paga, focalizza il suo investimento sia in termini economici che emotivi. E’ più probabile che sia motivata nel lavoro psicoterapico perché pagare rappresenta uno sforzo ed aumenta il senso di responsabilità e di consapevolezza verso questo tipo di scelta.
 Un aspetto da considerare è che nella cultura nella quale viviamo si tende a non dare sufficiente valore a ciò che è gratuito, ad abusarne.
Faccio un esempio: ad un buffett, in cui il cibo è a libera disposizione di tutti gli invitati, le persone riempiono i loro piatti in maniera smisurata, rischiando di sprecare il cibo (pensano: “Tanto non si paga”).


mercoledì 15 ottobre 2014

La funzione educativa dei genitori: una domanda



Lavorando con bambini aventi disturbi del comportamento, iperattività e difficoltà di attenzione, mi rendo sempre più conto di come nel contesto nel quale viviamo, la funzione educativa genitoriale è altamente sottovalutata dai genitori stessi. Frequentemente, si conduce il bambino in terapia come un giocattolo da aggiustare, come qualcosa di difettoso che va assolutamente riparato. Si da la colpa al carattere del bambino. Non sempre un genitore mette realmente in discussione il proprio ruolo: sente più responsabilità per ciò che suo figlio mangia, per come si veste che per come è. 
Agisce come se l’educazione fosse un optional. Educare un figlio richiede disponibilità emotiva, fatica e tempo. Spesso, genitori di bambini, non riuscendo a mettere in pratica alcune regole educative basate sul buon senso e sulla coerenza, affermano: “Dottoressa, io non posso fare come lei mi indica. Io ho da fare, devo fare i servizi, andare a lavorare.
Allora, mi domando: i genitori che investimento fanno sulla loro funzione educativa, che importanza danno all’educazione? Anche se hanno 10000 incombenze, trovano il tempo per nutrire e vestire il figlio?  Perché non si trova il tempo anche per educarlo?

Dott.ssa Flavia Morfini   Psicologa- Psicoterapeuta   www.psiconapoli.com

martedì 14 ottobre 2014

Il Disturbo da deficit attentivo con iperattività (ADHD)



Il Disturbo da deficit attentivo con iperattività (ADHD) si caratterizza per aspetti fondamentali quali: l’inattenzione, l’impulsività e l’iperattività. 
L’inattenzione o facile distraibilità comporta l’incapacità di portare a termine le azioni intraprese, i bambini perdono oggetti e dimenticano attività importanti. L’impulsività si manifesta come difficoltà a modulare e a controllare le proprie emozioni; tali caratteristiche sono frequentemente associate ad un comportamento iperattivo: questi bambini non riescono, frequentemente, neanche a stare seduti, hanno difficoltà ad aspettare regole e tempi. 
Tutti i bambini possono presentare, in determinate situazioni, i comportamenti sopra descritti; non significa necessariamente che hanno un deficit dell’attenzione e sono iperattivi. 
Se questi comportamenti costituiscono la caratteristica costante del bambino e sono presenti in gran parte delle situazioni ed in tutti i contesti, in quel caso è possibile ipotizzare un “Disturbo da deficit attentivo con iperattività”. 
I genitori devono essere molto attenti nell’utilizzo di questa espressione, poiché nel momento in cui connotiamo un bambino come iperattivo gli diamo un’identità che lui cercherà di confermare.
Nella gestione del “deficit attentivo con iperattività” il ruolo educativo genitoriale ha una funzione fondamentale.
Non è affatto sufficiente condurre il bambino in psicoterapia come “un giocattolo rotto” affidando allo psicologo il compito di “aggiustarlo”. E’ questo, purtroppo, l’atteggiamento di alcuni genitori. 
E’ fondamentale che il genitore sviluppi modalità e strategie utili per aiutare un figlio che soffre di ADHD.

Dott.ssa Flavia Morfini psicologa- psicoterapeuta      www.psiconapoli.com

lunedì 13 ottobre 2014

Bambini con deficit dell’attenzione ed iperattività (ADHD): premi e punizioni



Nei bambini che soffrono di ADHD è possibile ridurre gli atteggiamenti inadeguati ed incrementare i comportamenti positivi pianificando delle specifiche conseguenze ai comportamenti del bambino (premi e punizioni detti rispettivamente rinforzi positivi e negativi).
I comportamenti che producono come diretta conseguenza un premio devono riguardare aspetti come il controllo dei propri impulsi, lo svolgimento delle attività assegnate. Al contrario, i comportamenti che determinano la perdita del rinforzo e l’utilizzo eventuale di punizione devono generalmente riguardare le manifestazioni di oppositività e distruttività.
I rinforzi possono rapidamente perdere la loro funzione, per questa ragione è importante che siano accuratamente selezionati e gestiti.
E’ fondamentale utilizzare maggiormente i premi rispetto alle punizioni ed, inoltre, bisogna ricordare che la rapidità del premio o della punizione è molto più importante della sua entità.
Ciò perché nei minori, in generale, e nei bambini iperattivi ancora di più, il tempo è molto più rapido che per gli adulti: “Domani” è per un bambino talmente lontano da far perdere interesse.


Che cos’è la consapevolezza per la terapia della Gestalt



Possiamo definire la consapevolezza, in generale, come la reale comprensione di ciò che ci accade, dei nostri pensieri, emozioni, azioni e responsabilità.
La terapia della Gestalt si occupa di osservare e verificare la consapevolezza del processo dei pensieri, sentimenti e azioni di un individuo, prestando maggiore attenzione al “cosa” e al “come”, piuttosto che al “perché” di un'azione o di un comportamento. La consapevolezza del come qualcosa avviene, infatti, conduce più facilmente alla possibilità di compiere un cambiamento genuino e responsabile. Comprendere il perché di un determinato comportamento,infatti, non è, sempre, sufficiente a modificarlo.
La consapevolezza è dunque un costante aggiornamento su se stessi, sulla percezione di Sé, e delle proprie risorse. Essa è alla base della responsabilità e della libertà di scelta di ogni individuo poiché, se aumenta la consapevolezza, aumenta il senso di responsabilità e la possibilità di scegliere con cognizione di causa.

Dott.ssa Flavia Morfini   Psicologa- Psicoterapeuta   www.psiconapoli.com